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Coco e… i suoi due anni di infortunio “invisibile”!

Dopo una commozione cerebrale rimedita nel 2023, la campionessa di windsurf Coraline Foveau testimonia la sua lenta guarigione… realizzando anche una video-testimonianza sul suo canale YouTube, dove racconta la realtà quotidiana di chi vive con un’esperienza di trauma cranico, considerato “lieve”…
Per chi volesse approfondire… il video ha sottotitoli in Inglese, ma qui sotto di seguito, trovate anche una veloce traduzione in Italiano.

Photos © Fish Bowl Diaries and Erik Aeder

La mia commozione cerebrale: due anni di infortunio invisibile e frainteso
Come alcuni di voi sanno già, sono in lotta da due anni contro un infortunio invisibile. In questo percorso ho capito molte cose, tra cui che non sono sola e che, poiché questa lesione è invisibile, la società tende a non riconoscerla. Ho quindi cercato di mettere in parole questa esperienza. Ma prima, torniamo all’inizio e guardiamo al fatidico anno.
Il 2023 è stato l’anno più bello e al tempo stesso il più terribile della mia carriera. Ho chiuso la stagione al 3° posto mondiale, ma ho anche subito una caduta che ha segnato la mia vita. La diagnosi è stata: trauma cranico lieve, ovvero commozione cerebrale.

In sostanza, potrei aver subito delle micro-lesioni a seguito del colpo alla testa. Queste lesioni non sono visibili nelle immagini mediche, ma i sintomi parlano chiaro: blackout, nausea, confusione fin da subito. Sono stata presa in carico al pronto soccorso e dimessa con una prescrizione di paracetamolo in caso di mal di testa, senza ulteriori avvertimenti.
Ho subito capito che qualcosa non andava. I sintomi si sono amplificati nei giorni successivi: sensibilità a luce e suoni, mal di testa intensi, affaticamento estremo, vertigini, nausea, cambi di umore, ansia, tristezza, problemi cognitivi (concentrazione, attenzione, memoria)…
Mi sono ritrovata in un oceano di cui ignoravo le regole, incapace di prevedere correnti e maree.
Ho bussato a tutte le porte: pronto soccorso, medico di base, specialisti in medicina dello sport, osteopati, fisioterapisti, radiologi, neurologi…
Ho incontrato professionisti comprensivi, ma spesso urtavo contro la mancanza di risposte: nulla emergeva dalle immagini mediche, quindi mi veniva detto che sarebbe passato, che dovevo solo avere pazienza. Così si è arrivati a prescrivere antidolorifici più forti: il tramadolo è entrato nella mia quotidianità per un anno.
Bisogna capire che tendo a fidarmi delle parole di un professionista. Forse è collegato a mio padre, medico di famiglia premuroso con i figli. Faccio fatica a distinguere il ruolo di un professionista da quello di una figura genitoriale. In più, la fatica derivante dalla caduta mi toglieva energie, e seguire la teoria che comportava meno problemi risultava la scelta più semplice: seguire i consigli del medico.
Così, quando uno di loro, mesi dopo, mi ha detto che il problema era psicologico, ho cercato anche in quella direzione. Mi sembrava di impazzire, mentre amavo la mia vita prima dell’incidente e soffrivo a vederla sfuggirmi durante la convalescenza.
Non voglio dire che nessun professionista mi abbia aiutato. Molti hanno fatto il loro meglio nel loro ambito. Ciò che lamento è però la mancanza di umiltà e curiosità di alcuni. Il medico al quale un paziente si affida è un punto di riferimento: avrei voluto che, di fronte all’incertezza, dichiarasse i suoi limiti e indirizzasse il paziente verso un collega più competente. Se non conosceva nessuno, avrei apprezzato almeno qualche indicazione basata sulle sue conoscenze. Purtroppo ignoravo il sistema sanitario e non sapevo a chi rivolgermi.
Lo stesso vale per chi ti sta vicino. La mancanza di umiltà — ammettere di non sapere — e la scarsa curiosità di informarsi può ferire profondamente chi soffre. Ho avuto molti scambi con chi non riusciva a credere che una caduta (apparente innocua) potesse causare tanto disagio:
“È sicuramente il subconscio”, “È il vaccino”, “Forse è il tuo contraccettivo”.
Così tanti giudizi affrettati da persone basati solo su quello che pensavano di sapere. E capisco: chi non giudica un libro dalla copertina?
Come può un “trauma cranico lieve” provocare tali conseguenze? Forse serve un cambiamento nel linguaggio medico.
Parlo per esperienza personale, quindi vi dico cosa ho capito: la medicina moderna e la società spesso pensano che “se non si vede, non esiste”.
Eppure avevo un corpo che non era più quello di prima. Non riuscivo a vivere senza l’aiuto dei miei cari.Per darvi un’idea — un anno e 10 mesi dopo l’incidente, ecco la mia quotidianità:
Avevo energie per pochissimo. Dovevo bilanciare salute mentale, fisica e responsabilità adulte. Lavoravo 1–2 ore al giorno, non sempre. Trovavo piacere in attività leggere come colorare o lavorare a maglia. Ascoltavo il corpo e facevo 2–3 sonnellini al giorno. Nessuna routine sportiva regolare, preparazione fisica fuori discussione, windsurf circa 30 min a settimana se andava bene. Non guidavo più: mi mancava l’energia per lo spostamento e per ciò per cui mi muovevo.
La verità è che questa lesione non è banale. Ha protocolli specifici in molti sport di palla (rugby, calcio, pallamano…).
Eppure, come atleta di alto livello elencata tra le atlete riconosciute dal Ministero, ho vissuto un anno in un limbo medico. Evidentemente, le commozioni cerebrali non esistono nella Federazione Francese di Vela.
Solo perché pratichi uno “sport da spiaggia” non significa che una lesione non possa essere grave. Lo stesso vale per un incidente quotidiano normale: può causare conseguenze gravi.
Ho ricevuto testimonianze di persone che hanno avuto commozioni picchiandosi contro un palo per strada o chiudendo maldestramente il baule dell’auto. Eppure hanno avuto le stesse sequele debilitanti.
Questa esperienza mi spaventa soprattutto per chi arriverà dopo.
Col supporto e lo status che avevo, ho comunque dovuto lottare quasi due anni per essere presa sul serio.
Combatto ancora con le assicurazioni, che equiparano la mia lesione a una “caviglia rigida”.
Ma lo sportivo amatoriale, lo studente, il giovane lavoratore, il genitore o chiunque altro? Si troveranno intrappolati nella stessa infernale macchina burocratica?
Con il senno di poi, ho capito che questa non è stata la mia prima commozione cerebrale — le precedenti sono state ignorate perché invisibili esteticamente.
Per questo voglio sensibilizzare su questa lesione: può capitare in modi banali, ma avere conseguenze lungi dall’essere innocue.
Oggi non sono completamente guarita. Forse non lo sarò mai del tutto, viste le mie cure disastrose.
Ma posso finalmente dirlo: ho trovato uno specialista che mi ascolta davvero e mi sta offrendo risultati concreti per rimettermi il più possibile in forma.
Per chi vuole capire meglio cosa sto passando, ho realizzato anche una video-testimonianza sul mio canale YouTube, dove racconto la realtà quotidiana di chi vive con una commozione.
Un ringraziamento speciale al dottor Chermann, neurologo specializzato nelle commozioni cerebrali sportive, che dedica la sua carriera a migliorare la comprensione e gestione di questa lesione.